Saturday, June 30, 2012

Occhi bianchi sul pianeta terra.

Da svariati mesi, per riprendermi dagli attacchi psionici degli alieni, ho messo in pratica un esercizio salutare per il corpo e la mente.
Faccio come alcuni asceti indiani (dell'India...): prendo e vado a camminare.
Ma dove vado?
Vado.
Vado avanti, cammino fino a che ho la capacità di stimare che le forze potrebbero abbandonarmi se procedessi ulteriormente. Una stima che comprende anche lo spazio-tempo per tornare alla base.
Solitamente questa tecnica mi permette di stancare il corpo ed epurare la mente mentre procedo guardandomi intorno.
A volte, come un povero pazzo del manicomio, mi avvicino furtivamente ad un angolo, creando un "falso scopo", e vedo se qualcuno pensa strano di me. Mi diverto troppo. Vedo le facce di gente in auto che si fa dei film assurdi. Roba tipo "guarda un pó quello, è un tipo sospetto, cosa starà combinando?"
E invece non combina un bel niente perchè è solo un maniaco mitomane.
Oggi sono uscito con l'intento di sfidare il caldo apocalittico, purgarmi dei peccati del mondo, e vedere un pó se questo umore barbino e altalenante si sarebbe assestato.
Mi metto le scarpe buone, in playlist ho gli A Pale Horse Named Death, siamo apposto, e prima di uscire mi assicuro di avere ancora tutti i capelli in testa.
Sbalzo climatico paleocristiano. Fuori ci saranno quaranta gradi.
Roba da Terzo Mondo. Perchè solo al Terzo Mondo puó fare così caldo.
Ma infatti il nostro paese non appartiene a quelli in via di sviluppo, bensì a quelli in via di INviluppo.
Questo è lo scenario dirigendosi verso corso Vercelli.
Borghesi poco abbienti che zombificati si dirigono verso scheletri di negozi in via di chiusura.
Gente derelitta con ciabatte ai piedi, sconfitti da un sistema per il quale la massima realizzazione sarebbe il week end al mare. Alcuni, i più schifosi, indossano le Espadrillas.
Ebbene questi sono quelli che volano più basso, quasi a sfiorare i cadaveri abbandonati su un asfalto che prende la forma delle suole delle scarpe comprate al mercato dai cinesi.
Fantasmi dagli occhi bianchi che leccano stolidamente gelati insapore senza provare alcun piacere: prendo il gelatino perchè è estate e BISOGNA FARLO.
Donne dalla pelle bianchiccia e sudata che, sottoposte a una semplice lobotomizzazione chimica, non sentono più nè caldo nè freddo, e possono quindi andare per istrada con stivali e felpa. Lo giuro, stivali e felpa, che fortuna.
Un bambino che frusta serpenti di gomma sul fratellino in carrozzella. E la madre, fronte bassa e ipocefala, guarda laggiù: un orizzonte che non c'è, che non c'è mai stato, che mai ci sarà, con la bocca aperta e emettendo uno strano vagito capresco.
I neri che vendono le collanine
I neri che vendono le collanine
I neri che vendono le collanine
I neri che vendono le collanine.
Ma chi le compra le collanine? A cosa servono quelle collanine? Sono decorative? Sono belle? Servono a qualcosa? È successo qualcosa?
È scoppiata una bomba atomica la scorsa notte e non mi sono accorto di nulla per caso?
Sembra che tutto si stia sciogliendo, ma non in modo grazioso.
Io, come sovrappensiero, provo tra me e me dei dialoghi surreali per il libro. Dialoghi tanto irreali che poi li dimentico nell'attimo successivo in cui li ho fatti.
Eppure vado avanti per un tempo che sembra infinito.
Creo questi loop mentali che mi fanno male.
Sono uscito per guarirmi dal serpente che si morde la coda e invece mi ritrovo preda di me stesso.
Ancora una volta.
Un barbone zingaro a cui da piccolo han saggiamente cavato al piede destro le dita, e al sinistro troncato una generosa metà fino al metatarso, con un ascia, per fare in modo che faccia più pena mentre chiede la limosina, mi appare come un fantasma. Forse lo vedo, forse non lo vedo.
E che miraggio del cazzo, non poteva essere una bella gnocca? No, un barbone zingaro e storpio.
Del resto la bella figa adesso è in barca in Costa Smeralda, non certo a fare finti agguati negli angoli delle strade e a smaltire sbornie cerebrali, inesistenti, letali, inconcludenti, sterili.
Peró preferisco la bella figa ai "voglio tanto ma non posso".
Il brutto è sempre la cosa più brutta.
Ma perchè allora io non sono in Costa Smeralda?
Perchè ho l'aria condizionata.
Perchè mi accontento di poco.
Perchè ho tutto.
Passerà un bel pó prima che io rimetta piede in corso Vercelli e zona limitrofa.
"...Tuttavia - la razza umana - era sopravvissuta".

Friday, June 29, 2012

Interferenza

La mia vita sta diventando una sorta di interferenza con la mia vita stessa.
A volte credo di sognare e invece sto in balia di sensazioni così prepotenti che sono capaci di dominare il corpo, la materia.
Che siano queste le interferenze che mi impediscono di vivere la realtà come ogni altra persona? Ma poi, del resto, perchè io dovrei vivere come ogni altra persona? In cosa sono diverso io?
Forse proprio dal fatto di poter prendere coscenza che sono le "interferenze" a rendere completa la mia esistenza.
Una completezza nell'incompletezza.
Vivere o lasciarsi vivere.
Ma che cosa vuol dire "vivere"? È una questione di mera quantificazione, realizzazione materialistica del quotidiano? oppure forse è la capacità di accettarsi e farmproprio il momento in cui ci si ritrova.
Forse.
E comunque essere assoluti è più facile che essere elastici!
I lobotomizzati hanno sempre ragione.
Il babbeo infatti segue il branco e si accontenta. E in questa sua semplicità sta il comodo conformismo che non interferisce nella sua sfera psicologica. Ammesso che ci sia.
A volte mi sento solo?
Beh la soluzione c'è. Mi tengo compagnia con i miei amici immaginari. Loro non mi fanno sentire in colpa se la sera prima ho bevuto e, da Pinocchio quale sono, mi son messo ad alzare la voce in discoteca perdendola stupidamente.
Ora sono qui a leccarmi le ferite. E a scrivere questo come auto-terapia di sfogo psicologico. Mi vergogno della pateticità di queste parole. Del resto non sono ancora una divinità e quindi posso permettermi qualche debolezza.
Consigli di lettura: La pelle, di Curzio Malaparte.
Le parole usate in questo libro sono ironiche e drammatiche e potenti, sono schiaffi in faccia alla borghesia e ai benpensanti. Eppure sempre mantenendo un tono di classe ed eleganza elevatissimi.
Attuale soprattutto per i cosiddetti "radical-chic".
È proprio vero che come la fame vien mangiando, la scrittura vien scrivendo. E se si vuole uscire da un ghetto, come scrivevo l'altro giorno, la cosa più facile e pratica è aprire quella porta e uscirsene sulle proprie gambe. Non si è mai con le spalle al muro.
L'evoluzione porta l'uomo a dissociarsi dal gruppo.
Questo è sempre più frequente con i vari Social media di internet.
Hai immense frequentazioni online, gente che fanno gli amici e fanno le "faccine", e poi quando li vedo nella realtà quasi non mi salutano.
Che pena. Eppure stando a casa con gli amici immaginari non perdo la voce come in discoteca.
Pelle. La pelle è quella cosa che copre il marciume o le cose belle che abbiamo dentro.
Eppure ancora prima di sapere se uno ti sta simpatico o antipatico è la pelle a darti un messaggio.
La pelle è sia qualcosa di lombrosiano, sia qualcosa che cambia nel tempo.
La pelle è qualcosa a cui dovrei prestare più cura. Di vita ce n'è una sola e il modo estremo con cui mi comporto con me stesso non è certo cosa buona per la mia pelle. Per la mia voce, per i miei addominali, per i miei capelli.

Interferenze che interferiscono
Intransigenti nell'esigenza
Di genesi dell'esegeta
Trascuranti lo feriscono.

Wednesday, June 27, 2012

Il ghetto dei social network.

È da parecchio che non scrivo su questo blog.
È nella mia natura l'intemperanza. Per lo meno relativa a certe cose.
Sembra che come mi appassioni fulmineamente a una cosa o causa sia destinato a disinteressarmi con la stessa forza. Per lo meno ciclicamente.
Sono poche le cose a cui resto fedele.
La palestra. L'alcol. La musica.
Ora, senza mettere a nudo troppi elementi e senza scavare troppo in altri, voglio spiegare perchè certe attività, dopo un primo grande moto di entusiasmo, mi annoino.
Il ghetto è una cosa dalla quale una volta entrato difficilmente te ne tiri fuori. E questo mi spaventa e infastidisce tremendamente.
Mi iscrivo a un corso di arti marziali, sono bravo, il maestro mi tiene in considerazione più degli altri, si crea un guppetto di rispettosi e affiatati seguaci. Ecco da questo non ne esci più. La cosa inizia a preoccuparmi, la cosa del clan, inizio a presentarmi meno agli stages, alle lezioni, alle riunioni. Mi chiamano, chiedono il perchè di questo mio allontanarsi. Gli invento scuse più o meno realistiche. Loro mi odiano e non mi vogliono più.
Il ghetto delle arti marziali.
Vado al pub vicino a casa, molto carino, molto tranquillo, per scrivere. È meccanico che dopo due volte che mi presento qualcuno mi fa servire sul tavolo una birra. Devo ringraziare e fare due chiacchere con il simpaticone che gentilmente mi ha offerto il suo gesto di amicizia. Ma io voglio solo scrivere per i cazzi miei, in un posto vicino a casa, senza offendere o sfastidiare nessuno. Dopo un pó dovró o fare la figura dello stronzo e dirglielo, o cambiare posto.
No, non si puó: il ghetto dei pub.
Scrivo sul blog, scrivo frequentemente, scrivo tanto.
Poi inizio a concentrarmi su altre cose, come il libro ad esempio. Al chè mi fanno notare che sto trascurando il blog, nonostante non ci guadagno nulla con esso.
Sento che la cosa non è più naturale, sento una pressione, una responsabilità. Mi annoio.
Il ghetto dei blog.
Facebook e Twitter e le amicizie che, come nella realtà, se non nutri svaniscono. E anche di questo ghetto mi stufo.
Instagram, nasce in modo sano come giochino delle foto, pian piano diventa un mezzo di sponsorizzazione. Non mi ha ancora stufato, ma temo che presto lo farà.
Scopro un locale bello e fresco, con ottimi barman. Presto si riempirà di facce di cazzo che ordinano mojito e spritz e il servizio peggiorerà e io mi stuferò.
Il ghetto dei bei posti.
Vado in palestra per allenarmi. Tempo dieci giorni e per allenarmi ci impiegheró il doppio del tempo perchè verranno tutti a parlarmi e a fare gli amiconi.
Il ghetto delle palestre.
La musica? Quella è una cosa troppo intima e irrazionale per essere influenzata dai ghetti.

Nella foto un Gibson bevuto all'Hotel Saint Regis a Roma