Ho trovato in fondo a una tasca un buono per la spesa, ma non ricordando l'importo esatto, erano cento sacchi o meno?, mi dirigo al centro commerciale fuori città per fare la spesa.
La strada è piuttosto lunga, ma almeno risparmierò sugli acquisti e starò rifornito per qualche giorno.
Abbandonando la città attraverso in macchina le periferie più squallide e disumanizzanti e l'umore si adatta di conseguenza. Sono semi ipnotizzato dalla mancanza di grazia e resto quasi affascinato dal brutto che circonda l'umanità.
Giungo a destinazione dopo aver sbagliato strada e bestemmio sputando bava come un cane rabbioso. Solo dopo svariati secondi ritrovo la calma e mi accorgo dell'eccessivo impeto di rabbia, prendere un'uscita per un'altra non dovrebbe essere così tremendo dopo tutto.
Mentre parcheggio la Smart al secondo livello sotterraneo quasi vuoto dell'immane complesso commerciale ho il primo contatto con le forme di vita del luogo. I volti spenti di famiglie che deambulano spingendo giganti carrelli della spesa e fissano in contemporanea i cellulari mi riempiono di un vago senso di disperazione. Non una persona guarda in alto, neppure davanti a se. Sono tutti presi da Facebook, Instagram, Twitter, Snapchat, l'applicazione del meteo, Google maps, Yahoo news, Tumblr. Tutti, me compreso abbiamo un espressione vuota come una maschera senza lineamenti.
Prendo le scale mobili per raggiungere il punto delle informazioni e anch'io abbasso la testa e guardo il cellulare. Lo guardo e basta, come per far finta di fare qualcosa, per nascondere il disagio che temo possa trapelare.
L'inespressiva signorina al desk controlla la carta e mi riferisce l'importo, ho poco più di cento crediti, per cui balbetto un ringraziamento che lei scambia per qualcosa di sgradevole e mi dirigo a fare la spesa. Prima di trovare il supermarket mi perdo un'altro paio di volte. Questo posto è come un labirinto. Ora ho un tic nervoso che fa scattare l'occhio sinistro insieme alla guancia corrispondente. Oppure forse credo di averlo. Non è una cosa bella in ogni caso.
Altoparlanti invisibili diffondono nell'ambiente una musica da ascensore a un volume nè alto nè basso. I suoni stessi non procurano picchi emozionali, non capisco se sto giochetto faccia parte di un lavaggio del cervello atto a rincoglionire i clienti o a invogliarli ad acquistare sconclusionatamente e senza ritegno.
Hanno predisposto una zona ristoro addirittura all'ingresso (o all'uscita?) del supermarket; è un self service tipo mensa dei militari che serve roba fritta e carne del giorno prima riscaldata.
Nel carrello di misure sproporzionate dispongo le cose a caso: No, le uova no perchè le prenderò dal pizzicagnolo di fiducia che al mercoledì le ha fresche di gallina. Faccio lo stesso ragionamento con la mozzarella di bufala che prima estraggo e poi rimetto nel frigorifero.
Un melone; delle cipolle rosse di Tropea. Con la coda dell'occhio vedo personaggi con dei difetti fisici talmente eclatanti da non poterli nascondere, gente che si muove a scatti, con tic nervosi diversi dai miei. Più che umani sembrano quasi insetti alieni con parvenze che ricordano quelle umane. Poi mi miene in mente che probabilmente l'unico alieno qui in giro sono io, nongli altri.
E allora forse loro hanno ragione e io sono quello sbagliato. Chi sono io per squadrare e giudicare gli altri.
Poi passa un'altra famiglia con bambini che inciampano perchè fissano i loro piccoli cellulari coi loro piccoli piedini in formazione rapida e smetto di sentirmi in colpa.
Dove sono?
Perchè non ho preso la mozzarella? Rimango una manciata di minuti a fissare il banco dei surgelati, poi afferro di impulso una borsa termica e ci infilo una confezione di ghiaccioli Liuk da otto pezzi; faccio un ballottaggio tra la pizza congelata "Supreme Big Americans" e la Regina Margherita con mozzarella extra (è sempre una questione di mozzarella alla fine), ma la Supreme Big Americans prevale; mi dirigo con determinazione cieca verso il minestrone della salute Findus e ne prendo un paio. Un tizio vestito da militare dei servizi segreti si aggira in modo furtivo con una confezione di pomodori proveniente dal Belgio: la sua fidanzata è pallidissima e guarda a bocca aperta lo scaffale con i sottaceti come se vedesse la madonna.
Sento dei suoni anomali provenire dalle casse, una specie di codice Morse, e alzando gli occhi verso il soffitto vedo una telecamera di sorveglianza. Una di quelle sferiche che si vedono anche per strada usate dalla polizia. Mi convinco che non siano per la sicurezza del supermercato, ma strumenti di monitoraggio diretti alle agenzie di marketing sociale, o qualcosa del genere. Questo ragionamento viene bruscamente interrotto mentre intercetto proprio di fianco a me una collezione svafillante di macchinine Hot Wheels in blister coloratissimi che mi riportano all'infanzia. Qualcosa mi cola dal naso, non è moccio, sembra una roba rosa. Ne sento il sapore, è salato e sa di ferro, è come sangue ma senza la densità del sangue.
Non riesco a concentrarmi più di tanto perchè riprendo conoscenza alle casse dove una fila interminabile di corretti compratori ripone con una calma inquietante gli articoli sul rullo trasportatore.
Mi giustifico in qualche modo con la tipa dietro, una trentenne calva vestita con indumenti che odorano di straccio bagnato, inventando per scusa che ho dimenticato una cosa, e mi tolgo dalla fila. Perchè mi son sentito in dovere di giustificarmi con la fila? Torno furtivo al banco surgelati e imbosco la borsa termica, con tutti gli articoli dentro, in un vano nascosto. Faccio il giro a ritroso e mi accorgo di vivere in un'angosciosa moviola nella quale sono l'unico a non voler essere qui.
Mi vengono in mente immagini di gente che ce l'ha fatta nella vita, i calciatori di serie B che rimorchiano a Formentera le ragazze che scroccano i drink nei priveè, le fashion blogger che vengono sponsorizzate dalle marche di moda, i presenzialisti, il genio che ha trovato il metodo di prelevare occultamente un euro da un milione di utenti Bancomat ignari e si sveglia ogni volta a mezzo giorno con un milione di euro in più sul suo conto nelle isole Cayman.
La musica di sottofondo suona un abominio che potrebbe essere Burt Bacharach misto a rap italiano. I rapper italiani. I rapper italiani che fanno i duri coi tatuaggi sul collo.
Improvvisamente sento provare qualcosa che si chiama invidia. Mi spinge a voler essere qualcun'altro, qualcos'altro. Mi spinge a non ammirare, a non prendere a esempio, ma a odiare e a volere di più. Più cose, più oggetti, più benessere, più cibo, più alcool. Anch'io voglio essere invidiato.
Oddio, perchè penso a questo? Io ho già tutto. Oppure no?
Dietro di me una telecamera sferica protetta dal plexiglass rotea su se stessa e allo scaffale dei sughi pronti un paio di figuri in camice verde pisello annotano degli appunti su un tabulato. Indossano una mascherina come i giapponesi quando hanno il raffreddore.
Mollo il carrello dove sono e fuggo verso l'uscita. Un bambino che fissa il cellulare (giocava svogliatamente a Cookie Jam, dopo un lieve capriccio per le Hot Wheels, e ciò conferma palesemente il mio sottosviluppo cerebrale) mi indica muto senza distogliere lo sguardo dallo schermo e io sento un bisogno pazzesco di comprare dei calzini in offerta speciale "cinque per tre" da Calzedonia, ma poi finisco addosso ad una zoppa.
Non ho più una personalità. Voglio comprare qualsiasi cosa.
Farò ciò che vorrete, basta che finisca tutto al più presto.
Inizio a sbavare provando un senso di sollievo, la cosa inizia a piacermi, tutto sommato, penso, sbavare non è poi così male, e intanto fisso lo schermo del cellulare in stop mentre percorro le scale mobili al contrario tentando di raggiungere i parcheggi sotterranei. Era il terzo livello? Non ricordo il livello. Quando sono arrivato ore fa, un secolo fa, questo posto era vuoto, ora è pieno zeppo di macchine e mezzi, suv bifamiliari, furgoni, scooter enormi a tre ruote, mini-autobus col dispositivo elettronico sali e scendi. Da dove cazzo arriva tutta sta gente? Vivono qui dietro? Hanno tutti una tessera prepagata di buoni spesa come la mia?
La mia mozzarella. Alla fine potevo prenderla, che coglione.
prendo il primo ascensore che trovo e salgo di un livello. Mentre un uomo sulla cinquantina senza fronte e con l'attaccatura dei capelli da orango aggiorna il suo profilo di Snap sul telefonino (mette in vendita dei sandali femminili, ma del cinquanta di taglia), mi appare la "Lettera alle Chiese: di Efeso" dell'Apocalisse di Giovanni sullo specchio di fronte. Tutto sommato non fa l'effetto apocalittico che aspettavo ed uscendo dall'ascensore cerco di ricordare il numero del blocco e il colore della sezione di dove avevo messo il mezzo. Giallo? Verde? Rosso? Niente, giro a vuoto come un topo in un esperimento di vivisezione. Vedo dei corpi che si muovono da lontanissimo e li saluto con la manina che fa ciao come fanno i giapponesi in vacanza quando gli ordinano di fare una foto, ma niente, nessuna reazione.
Sono io o sono gli altri?
Gli altoparlanti nascosti ora diffondono garbatamente un Easy Listening da aereo di linea con melodie semplicissime che invece di calmarmi rendono ancora più insopportabile e assurda la permanenza in questo dedalo megalitico di cemento.
Non c'è un'anima a cui chiedere un'informazione. Com'è possibile che nessuno svolga la mansione di ausiliario del parcheggio nei momenti del bisogno? Dove cazzo mi trovo e soprattutto perchè mi trovo qui?
Cerco in tasca la tessera buono sconto prepagata e non la trovo. Altro motivo di panico.
Torno a prendere l'ascensore e non capisco se sto salendo o scendendo. rido da solo come un cretino. Si aprono le porte ed esco con un espressione demente stampata in faccia. Ho paura e le dita delle mani e dei piedi sono gelate.
Una famiglia di analfabeti funzionali guarda sorridendo in modo vago senza capire il mio bisogno disperato di soccorso.
L'automobile non c'è da nessuna parte. Mi sono perso. Ma non qui. Mi sono perso dentro. Il labirinto esiste per davvero ed è dentro la mia testa. Mi chiedo se sono arrivato qui con la macchina mia o forse mi ci ha portato qualcuno.
Prendo il telefono e chiamo un numero a caso. Risponde il chirurgo che mi operò la schiena otto anni or sono. Fa finta di ricordarsi di me. Io dissimulo, gli dico che vivo all'estero, non so nemmeno perchè sto mentendo. Vesso in uno stato confusionale e mi sento calvo e grasso.
Inizio a piangere perchè dopo tutto volevo solo vincere al grattaevinci e comprare una mozzarella di bufala da mezzo chilo, ma non ho fatto nè l'uno nè l'altro. Questo dimostra che sono un fallito.
Trovo un angolo vicino ad un altoparlante che diffonde confortante un brano anonimo senza alti e bassi e mi accovaccio per terra assumendo una posizione fetale. Dal naso cola ancora quella roba che non si capisce se è sangue o moccia rosa.
Il mondo là fuori è troppo pericoloso ora, forse è meglio se torno dentro il centro commerciale. Magari mangio qualcosa, magari compro dei calzini in offerta; al multiplex danno l'ultimo film della Marvel, qualcosa di non impegnativo dove i buoni vincono e i cattivi vengono banditi in una ultradimensione, per giustificare che nessuno sia stato ucciso, anche se sono personaggi finti. Magari mi distraggo.
Nella posizione fetale in cui mi trovo ricordo di avere un cellulare. Lo prendo e vado su Facebook.
Sono per terra aggrovigliato su me stesso mentre rido ebete cambiando la mia foto di profilo.
Sono perso in un labirinto e accolgo il nulla nel mio spirito.
Il futuro è bellissimo.