Friday, November 23, 2018

La parabola del pittore cinese e dell'imperatore


C'era una volta un pittore cinese che lavorava al ristorante FENG di una traversa di Paolo Sarpi.
Un pomeriggio, mentre scongelava carne di topo nel cortile sul retro venne avvisato che quella sera a cena ci sarebbe stato l'imperatore di Bruzzano, il migliore spacciatore di barella, nonchè appassionato di cucina esotica.
Si fece sera, e finalmente giunse l'imperatore coi suoi mandarini a cavallo di T-Max truccatissimi. Volle ordinare il suo piatto preferito, la specialità del pittore cinese. Che poi non era un vero e proprio pittore, insomma lo era stato, ma visto che le sue opere facevano cagare si diede alla cucina, anche se i suoi amici gialli continuavano a sfotterlo chiamandolo in modo sarcastico "Il Pittore".
 - Ah, sei un pittore? -
 - Si - 
 - Allora dipingimi sto cazzo. - E tutti a ridere.
Comunque l'Imperatore di Bruzzano ordinó il famoso POLLO DEL NAVIGLIO, che poi era carne di topo. Scongelata, fritta e in agrodolce.
Il Pollo del Naviglio era il piatto preferito dei Bruzzangeles perchè aveva un buon sapore e non costava un cazzo.
Arrivarono le pietanze e gli ospiti mangiarono avidamente.
Si fecero un tiro di bamba a tavola, tanto chi guardava si pigliava gli schiaffi. Come da copione di digestivo ordinarono tutti un Limoncè doppio, pagarono e se ne andarono a mafieggiare all'ATM che ora faceva davvero brutto, tra gente di fuori, tardone disperate, e camerieri che urlano.
Quella notte morirono tutti dopo aver sofferto di orrendi dolori e spasmi al colon.
Adesso Il Pittore cinese è in galera e ha cambiato sesso.
La morale fatevela un pó voi, testine.

Ps: Ah, ma tu sei un lettore?
Si?

Allora leggimi sto cazzo.

Tuesday, November 21, 2017

Sproloquio


Insoddisfatti e invidiosi. Il sistema spinge a mantenerci in questo stato.
Spendere di più per colmare il vuoto serve a creare dipendenza. Il cocktail bombardante di cazzate, talent show e notizie fake da social media guida e indottrina i meccanismi di ragionamento e sudditanza. Ma non solo. Si modificano i criteri di estetica e di gusto.
Oggi sono finito in un grande centro commerciale fuori Roma. Una cittadella autosufficente. Vedo uno stand di Xfactor per effettuare selfie con le sagome di polietilene espanso di Fedez, Manuel Agnelli, Mara Maionchi, e una tizia di nome Levante. Non mi soffermo su nessuno di loro perchè sarebbe banale e di parte. Tutto questo, mala o buona fede dei quattro sopra citati, fa parte di un meccanismo. Il meccanismo per una massa demente e bisognosa di speranza. A cosa triste è che questa speranza viene elargita tramite protagonisti scialbi e al limite del credibile.
Prendere posizione o giocare il gioco buonista dei social media? Prendo posizione.
Del resto quante volte sono stato preso per il culo o accantonato per la mia lingua biforcuta.
Il punto è che oggi, il mio paese, forse il più complesso, sfaccettato, controverso, e ricco al mondo, ha come metro della misura il dipreismo, Rovazzi, il rap dei tatuaggetti al collo (e sottolineo NON hip hop, per non tirare in ballo un altro mondo ben più complesso), e i Talent. Il mio paese festeggia la morte di Totò Riina, ma si esalta con Gomorra e Suburra. Ci si sente far parte. Da una parte si punta il dito per salvare la faccia, dall’altra parte dello schermo del computer invece si vuole fare i guappi. I guappi di cartone.
Ecco come siamo arrivati fino a qua. Per comodità.
Eppure come mi rode il culo vedere i ragazzi e le ragazze scuotere la testa cercando di essere “più americani”. L’ossessione di essere per forza qualcos’altro, qualcosa di fico, “cool”. E lo dico io che devo tutto all’America, ai tour in America.
Abbiamo almeno 2600 anni di storia e ciondoliamo facendo “V” con la manina facendo centinaia di selfie dalla mattina alla sera. Non è nemmeno più autocelebrazione. È qualcosa di più drammatico. Il bisogno di sentirsi vivi. È tremendo.
Sembrerò un povero pazzo, un seguace delle cospirazioni, un fissato delle scie chimiche. Oppure più semplicemente sto diventando vecchio e faccio come i bigotti che negli anni sessanta e settanta avrebbero linciato volentieri gli Stones e i Doors.
O forse non tollero più questo futuro che ci viene imposto. Un futuro di aggiornamenti continui, di bisogno di apparire continuo, di opinionisti non richiesti. Probabilmente un pò come me. Ma non me ne frega un cazzo. Anzi, me ne frega eccome. Perchè sono un sopravvissuto, perchè non mi arrendo, perchè sono libero, perchè ascolto metallo pesante, che è la droga migliore. Mi dà forza, mi ispira, mi esalta. Traccia la linea di demarcazione tra me e loro. Tra noi e loro.

Perchè so che tutto sommato non sono solo.

Wednesday, August 10, 2016

Il misofono


Il fonometro binaurale misura situazioni esistenti che potrebbero non essere tali nelle dimensioni relative al nulla.

Vado a letto tardi e dormo poco, le idee sembrano materializzarsi a notte fonda e seduto alla scrivania rimango a fissare lo spazio di muro vuoto di fronte agli occhi. le pareti devono essere di cartone perchè i cafoni che abitano di fronte russano generando un coro gospel da maiali sgozzati vivi. Magari li sgozzassero davvero, almeno questa litania bestiale avrebbe fine. E invece no, ogni notte la stessa storia, loro dormono io no. Scopassero almeno, sentirei qualcosa di nuovo. Ho voluto risparmiare quelle due lire per l'abitazione per recuperare sui vizi, il condominio in cui vivo rasenta l'ignobile, e questo è il prezzo da pagare: microcella abitativa e muri in pelle di culo è quello che mi merito. Hai voluto la bicicletta e ora pedali. E poi ti trovi con un triciclo con la ruota scassata.
Sta notte è peggio delle altre. non riesco a scrivere niente figurarsi dormire. Nello schermo ottico statale oblungo non danno niente di interessante, perciò mi è uscita solo una cagata del genere:

Beccaria
portami via
la lotteria
la Cia
dagli alla spia
non è tua zia
radio Maria
è una bugia
è una bugia.

È del tutto senza senso, e il bello è che lo so. Una roba a cazzo di cane. Puttanate.

Rinuncio ai poemi epici e provo a calmarmi con un bicchiere di Jack Daniel's Sinatra Edition. Ecco dove finiscono i soldi.
Infilo gli auricolari fonoresistenti standard forniti dall'Amministratore nelle orecchie. Ascolto gli Alcest e il ragliare delle bestie si attenua. Affilo la katana che tengo sotto il letto, la cosa mi calma e un paio di ore di sonno riesco a farle.
La cosa che più mi fa imbestialire di quelli che russano è che quando gli si fa notare l'orrenda abitudine negano a spada tratta con interrogativi negazionisti: "Chi, io russo? Mavà sei te che hai il sonno leggero, ma figurati!"

Alcuni suoni non solo mi innervosiscono, stimolano istinti omicidi che stento a riconoscere come qualcosa che mi appartenga. Non so se dovrei provare vergogna o meno, ma è un dato di fatto, alcune frequenze fanno venire voglia di torturare chi le produce.

Mi sveglio alle nove del mattino, orario inutile. Avrei voluto dormire di più, ma il nuovo inquilino che fresco di trasloco sta facendo i lavori se ne strasbatte che a quest'ora io sia ancora nel fodero. Che poi che lavori farà mai che siamo in un condominio di merda da barboni? Attacca piuttosto quelle due foto di figli orribili (o cani, non so se ha figli o cani il cretino) e non rompermi le palle. Ah già, il tipo è un giovane gay pignolo e quindi non ha figli. In compenso deve trapanare e martellare e sconquassare le mura di cartone per apportare chissà quali migliorie. Il Walter Gropius della Suburra, ma vai a cagare.

Entro in cucina e preparo un caffè, ma sento l'ennesimo suono disturbante. Il bimbo dell'altra famiglia di fianco sta mettendo i denti e grida dall'alba al tramonto.
Non so cosa sia peggio, uno che russa, e dorme profondamente e beato mentre tu soffri per colpa sua, o un'alba semi insonne accompagnata da un capriccioso essere alieno che grida forsennatamente perchè non vuole mangiare quella merda obrobriosoa di semolino. Del resto mi sembra di aver capito che gli esseri umani sentano il bisogno di accoppiarsi per riprodursi come fanno i topi e gli scarafaggi, quindi quello estraneo al sistema sono io. Con questi pensieri pratico la manovra di Valsalva e vado di corpo compilando un Sudoku di livello 4 su 5, mi sciacquo in fretta, i denti non li lavo, fanculo i denti, indosso i Wayfarer con le lenti polarizzate ed esco per andare in qualche bar a prendere un altro caffè e studiare la situazione.

Il portinaio ha il brutto difetto di picchiettare una Bic sulla sua scrivania nella guardiola. Mentre ti fissa picchietta quella cazzo di Bic come faceva l'insegnante di italiano alle scuole medie quando puntava lo sguardo sul tuo nome sul registro. Mi torna in corpo l'ansia di quando si attendeva la fatidica domanda: "Oggi chi interroghiamo?" E usciva il mio nome. Nel caso specifico del mio portinaio c'è un accentuarsi del ritmo della Bic se deve romperti i coglioni, accompagnato dalle seguenti parole tipo - Ieri un suo conoscento ha messo la bici nel cortile, ma mica si può fare così eh! La prossima volta la faccia leggere il cartelline qua ddavanti - E indica un cartellino fatto malissimo, da lui compilato a mano, con scritto sgrammaticato:
"Le biciclette degli estranei non vanno entrate di dentro il cortile.
Firmato L'AMMINISTRATORE".
E mentre mi indica il cartiglio il suono ticchettacche della Bic aumenta di frequenza e di intensità e diventa qualcosa di ingestibile per l'occipite.
Ora faccio un cenno di abnegazione con la testa, quasi un inchino, e me ne pento subito uscendo dalla guardiola. Perchè mai avrei dovuto sentirmi in colpa al ticchettio del portinaio? Perchè mai avrei dovuto sottomettermi a un semidecerebrato "Articolo 68/99" che in virtù della sua portinaietà avrebbe potere sulla mia dignità mattutina?
Domande senza una risposta.

Mentre cerco di raggiungere il bar appena fuori il portone del condominio passano tre motorette semi-cross di un paio di ragazzetti semi maggiorenni che producono un rumore talmente assurdo che mi fermo a fissarli. I cretinetti sono ormai già belli che spariti, ma vorrei che si voltassero dalla mia parte e vedessero lo sguardo omicida (in realtà, a guardarmi dall'esterno appaio come un povero coglione, ma questo, io, non lo posso sapere). A questo punto immagino di estrarre il coltello a farfalla, che porto sempre in tasca, per sgozzarli con una cravatta boliviana su misura, una di quelle che quando apri la gola la lingua scende a penzoloni come un foulard satanico. Purtroppo in realtà mi accorgo di restare a fissare il nulla mentre una signora per bene sulla cinquantina con un chihuahua mi chiede se va tutto bene.

Il chihuahua abbaia a raffica e quei megahertz fastidiosi ricordano il guaito disperato di quelle creature che in oriente i cuochi più raffinati spellano vive per poi metterle nell'olio bollente a farne involtini da mangiare accompagnati al riso. Una morte perfetta. Bravissimi i cuochi orientali, hanno il mio più totale supporto morale. 
Fisso l'animale e immagino quindi la dolce sequenza dello spellamento associato alle grida strazianti della bestia con l'acquolina in bocca e visualizzo una confezione di patatine di gambero soffiato, le stesse che ti danno al ristorante cinese quando aspetti le altre porcherie. Il topocane continua comunque a squittire mentre sorrido e saluto cortesemente la signora, è un'altra cara vicina di casa e io sono uno che ci tiene ai buoni rapporti.
Entro nel bar.

Appena varcata la soglia ho un momento di stallo perchè non so se ordinare al banco o sedere a un tavolino e farmi servire. Opto per un compromesso geniale: ordino al banco di farmi servire al tavolino.
Accendo il visore portatile omologato e rileggo le ultime cose che ho scritto e di cui non sono convinto quando una svogliata cameriera porta le cose e le appoggia a malo modo sul tavolino. Un caffè doppio lungo che il barista ha sbagliato e non ha fatto abbastanza lungo ma va bene lo stesso; un succo di pomplemo e una bottiglia di acqua che avrebbe dovuto essere gasata, la più gasata che avevano, mentre è una merda sgasata che manco per farci il bidè andrebbe bene. Faccio finta di niente, il caffè è comunque corroborante e sento un sollievo che si genera nel corpo dopo le  estenuanti ore notturne di ansia e mancato riposo.
Putrtroppo l'idillio deve cessare perchè sono assalito dall'ennesimo disagio sonoro. I terribili 195 / 208 megahertz di una donna annullano ogni altro suono dell'ambiente invadendo lo sfintere del mio cranio in modo, impedendo di proseguire qualsiasi azione. La lurida puttana.
Mi giro a guardarla immaginando che sia un cesso oltre la  cinquantina con la faccia della Littizzettoe il culo della Gucciari e invece vedo una figa imperiale che mi rimescola le idee. Bionda, alta, giovane, senza segni, truccata benissimo, 
Mi volto e torno ai fatti miei, ma non riesco perchè sento ancora quella terribile voce. Non seguo neppure i discorsi che fa con l'amica dallo sguardo vitreo e tuttavia quelle terribili frequenze invadono la privacy come un ospite indesiderato. Non è il volume, neppure è il tono isterico, sono i fottuti megahertz. Ma è proprio lei la fonte di questo ragliare infinito e chioccio oppure l'amica bruttina? È lei, è lei, non ci sono dubbi.
Ho la soluzione in pugno. Chiudo lo schermo del computer e mi allontano dalla fonte sonora. Torno all'origine, ovvero al bancone e ci appoggio il succo di pompelmo e appena mi sembra di averla passata liscia sento un risucchio provenire dalla mia sinistra. Mi volto e un vecchio sull'ottantina sorbisce fragorosamente un tiepido e nauseabondo caffelatte in alternanza a plateali risucchiate di cornetto alla crema (quest'ultima continua a cadere per terra a ogni pucciata). È una scena bruttissmima eppure nessuno sembra farci caso.
Ho un conato di vomito e simulando normalità vado alla cassa per pagare la fallimentosa colazione, ed ecco che in attesa la svogliata cameriera di prima che ora smangiucchia rumorosamente una chewing gum fissandomi con aria strafottente. Prima di spaccarle la faccia con una testata porgo i soldi con garbatezza e scappo fuori in strada.

La sensazione di disagio psicologico che provo ascoltando ormai qualsiasi suono si proietta sul corpo in modo devastante. Non riesco a valutare più nulla in modo relativo. Tutto mi risulta odioso. Solo nel silenzio più totale ho una momentanea tregua, quindi mai. In alternativa posso ascoltare del metal estremo mentre rimetto in ordine le armi che ho predisposto per un ipotetico assalto. Un assalto a chi? Ai vicini che russano come luridi maiali? All'architetto omosessuale? Ai proletari coi figli-cloni frignosi? Al portinaio sottosviluppato che ticchetta la penna a seconda dell'umore? Alla vecchia col chihuahua fastidioso? Alla tipa figa che però ha la voce come una cessa? Al vecchio che sorbisce succhiando dalla dentiera di gomma? Alla cameriera svogliata che smangiucchia cazzi a colazione?
Mi mangio la pelle delle mani fino a farle sanguinare. Balbetto davanti allo specchio scuse che reciterò davanti all'amministratore. Ho sbagliato, dirò, eh vabè, uno potrà sbagliare o no? Era tutto uno scherzo, dirò simulando uno stato di confusione, volevo solo spaventarli, in fondo sono loro che mi hanno aggredito, io non sapevo che fosse così tagliente la spada cinese. Tirerò il mento in fuori con la bocca un pò aperta e farò colare un pò di sputo. Farò una pernacchia e riderò indicando un punto. Reciterò la successione di Fibonacci, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 35, 54, 89, e continuerò a rincorrere i numeri fino a quando non riuscirò a far credere di essere completamente fuori di testa e quindi bisognoso di aiuto.

Nella camera anecoica dove l'amministratore mi ha rinchiuso i cunei di materiale spugnoso assorbono qualsiasi suono e ora posso vivere in pace e armonia col mio essere. Uno schermo ottico statale oblungo trasmette perennemente immagini di operazioni chirurgiche nelle quali bravissimi otorini recidono corde vocali senza soluzione di continuità.
Ora sto bene, sono felice.
Non sento niente. 
Anestesia totale.
Benem.

Saturday, July 30, 2016

BALIRITNO


Ho trovato in fondo a una tasca un buono per la spesa, ma non ricordando l'importo esatto, erano cento sacchi o meno?, mi dirigo al centro commerciale fuori città per fare la spesa.
La strada è piuttosto lunga, ma almeno risparmierò sugli acquisti e starò rifornito per qualche giorno.
Abbandonando la città attraverso in macchina le periferie più squallide e disumanizzanti e l'umore si adatta di conseguenza. Sono semi ipnotizzato dalla mancanza di grazia e resto quasi affascinato dal brutto che circonda l'umanità.
Giungo a destinazione dopo aver sbagliato strada e bestemmio sputando bava come un cane rabbioso. Solo dopo svariati secondi ritrovo la calma e mi accorgo dell'eccessivo impeto di rabbia, prendere un'uscita per un'altra non dovrebbe essere così tremendo dopo tutto.
Mentre parcheggio la Smart al secondo livello sotterraneo quasi vuoto dell'immane complesso commerciale ho il primo contatto con le forme di vita del luogo. I volti spenti di famiglie che deambulano spingendo giganti carrelli della spesa e fissano in contemporanea i cellulari mi riempiono di un vago senso di disperazione. Non una persona guarda in alto, neppure davanti a se. Sono tutti presi da Facebook, Instagram, Twitter, Snapchat, l'applicazione del meteo, Google maps, Yahoo news, Tumblr. Tutti, me compreso abbiamo un espressione vuota come una maschera senza lineamenti.
Prendo le scale mobili per raggiungere il punto delle informazioni e anch'io abbasso la testa e guardo il cellulare. Lo guardo e basta, come per far finta di fare qualcosa, per nascondere il disagio che temo possa trapelare.
L'inespressiva signorina al desk controlla la carta e mi riferisce l'importo, ho poco più di cento crediti, per cui balbetto un ringraziamento che lei scambia per qualcosa di sgradevole e mi dirigo a fare la spesa. Prima di trovare il supermarket mi perdo un'altro paio di volte. Questo posto è come un labirinto. Ora ho un tic nervoso che fa scattare l'occhio sinistro insieme alla guancia corrispondente. Oppure forse credo di averlo. Non è una cosa bella in ogni caso.
Altoparlanti invisibili diffondono nell'ambiente una musica da ascensore a un volume nè alto nè basso. I suoni stessi non procurano picchi emozionali, non capisco se sto giochetto faccia parte di un lavaggio del cervello atto a rincoglionire i clienti o a invogliarli ad acquistare sconclusionatamente e senza ritegno.
Hanno predisposto una zona ristoro addirittura all'ingresso (o all'uscita?) del supermarket; è un self service tipo mensa dei militari che serve roba fritta e carne del giorno prima riscaldata.
Nel carrello di misure sproporzionate dispongo le cose a caso: No, le uova no perchè le prenderò dal pizzicagnolo di fiducia che al mercoledì le ha fresche di gallina. Faccio lo stesso ragionamento con la mozzarella di bufala che prima estraggo e poi rimetto nel frigorifero.
Un melone; delle cipolle rosse di Tropea. Con la coda dell'occhio vedo personaggi con dei difetti fisici talmente eclatanti da non poterli nascondere, gente che si muove a scatti, con tic nervosi diversi dai miei. Più che umani sembrano quasi insetti alieni con parvenze che ricordano quelle umane. Poi mi miene in mente che probabilmente l'unico alieno qui in giro sono io, nongli altri. 
E allora forse loro hanno ragione e io sono quello sbagliato. Chi sono io per squadrare e giudicare gli altri.
Poi passa un'altra famiglia con bambini che inciampano perchè fissano i loro piccoli cellulari coi loro piccoli piedini in formazione rapida e smetto di sentirmi in colpa.
Dove sono?
Perchè non ho preso la mozzarella? Rimango una manciata di minuti a fissare il banco dei surgelati, poi afferro di impulso una borsa termica e ci infilo una confezione di ghiaccioli Liuk da otto pezzi; faccio un ballottaggio tra la pizza congelata "Supreme Big Americans" e la Regina Margherita con mozzarella extra (è sempre una questione di mozzarella alla fine), ma la Supreme Big Americans prevale; mi dirigo con determinazione cieca verso il minestrone della salute Findus e ne prendo un paio. Un tizio vestito da militare dei servizi segreti si aggira in modo furtivo con una confezione di pomodori proveniente dal Belgio: la sua fidanzata è pallidissima e guarda a bocca aperta lo scaffale con i sottaceti come se vedesse la madonna.
Sento dei suoni anomali provenire dalle casse, una specie di codice Morse, e alzando gli occhi verso il soffitto vedo una telecamera di sorveglianza. Una di quelle sferiche che si vedono anche per strada usate dalla polizia. Mi convinco che non siano per la sicurezza del supermercato, ma strumenti di monitoraggio diretti alle agenzie di marketing sociale, o qualcosa del genere. Questo ragionamento viene bruscamente interrotto mentre intercetto proprio di fianco a me una collezione svafillante di macchinine Hot Wheels in blister coloratissimi che mi riportano all'infanzia. Qualcosa mi cola dal naso, non è moccio, sembra una roba rosa. Ne sento il sapore, è salato e sa di ferro, è come sangue ma senza la densità del sangue.
Non riesco a concentrarmi più di tanto perchè riprendo conoscenza alle casse dove una fila interminabile di corretti compratori ripone con una calma inquietante gli articoli sul rullo trasportatore.
Mi giustifico in qualche modo con la tipa dietro, una trentenne calva vestita con indumenti che odorano di straccio bagnato, inventando per scusa che ho dimenticato una cosa, e mi tolgo dalla fila. Perchè mi son sentito in dovere di giustificarmi con la fila? Torno furtivo al banco surgelati e imbosco la borsa termica, con tutti gli articoli dentro, in un vano nascosto. Faccio il giro a ritroso e mi accorgo di vivere in un'angosciosa moviola nella quale sono l'unico a non voler essere qui.
Mi vengono in mente immagini di gente che ce l'ha fatta nella vita, i calciatori di serie B che rimorchiano a Formentera le ragazze che scroccano i drink nei priveè, le fashion blogger che vengono sponsorizzate dalle marche di moda, i presenzialisti, il genio che ha trovato il metodo di prelevare occultamente un euro da un milione di utenti Bancomat ignari e si sveglia ogni volta a mezzo giorno con un milione di euro in più sul suo conto nelle isole Cayman.
La musica di sottofondo suona un abominio che potrebbe essere Burt Bacharach misto a rap italiano. I rapper italiani. I rapper italiani che fanno i duri coi tatuaggi sul collo.
Improvvisamente sento provare qualcosa che si chiama invidia. Mi spinge a voler essere qualcun'altro, qualcos'altro. Mi spinge a non ammirare, a non prendere a esempio, ma a odiare e a volere di più. Più cose, più oggetti, più benessere, più cibo, più alcool. Anch'io voglio essere invidiato.
Oddio, perchè penso a questo? Io ho già tutto. Oppure no?
Dietro di me una telecamera sferica protetta dal plexiglass rotea su se stessa e allo scaffale dei sughi pronti un paio di figuri in camice verde pisello annotano degli appunti su un tabulato. Indossano una mascherina come i giapponesi quando hanno il raffreddore.
Mollo il carrello dove sono e fuggo verso l'uscita. Un bambino che fissa il cellulare (giocava svogliatamente a Cookie Jam, dopo un lieve capriccio per le Hot Wheels, e ciò conferma palesemente il mio sottosviluppo cerebrale) mi indica muto senza distogliere lo sguardo dallo schermo e io sento un bisogno pazzesco di comprare dei calzini in offerta speciale "cinque per tre" da Calzedonia, ma poi finisco addosso ad una zoppa.
Non ho più una personalità. Voglio comprare qualsiasi cosa.
Farò ciò che vorrete, basta che finisca tutto al più presto.
Inizio a sbavare provando un senso di sollievo, la cosa inizia a piacermi, tutto sommato, penso, sbavare non è poi così male, e intanto fisso lo schermo del cellulare in stop mentre percorro le scale mobili al contrario tentando di raggiungere i parcheggi sotterranei. Era il terzo livello? Non ricordo il livello. Quando sono arrivato ore fa, un secolo fa, questo posto era vuoto, ora è pieno zeppo di macchine e mezzi, suv bifamiliari, furgoni, scooter enormi a tre ruote, mini-autobus col dispositivo elettronico sali e scendi. Da dove cazzo arriva tutta sta gente? Vivono qui dietro? Hanno tutti una tessera prepagata di buoni spesa come la mia?
La mia mozzarella. Alla fine potevo prenderla, che coglione.
prendo il primo ascensore che trovo e salgo di un livello. Mentre un uomo sulla cinquantina senza fronte e con l'attaccatura dei capelli da orango aggiorna il suo profilo di Snap sul telefonino (mette in vendita dei sandali femminili, ma del cinquanta di taglia), mi appare la "Lettera alle Chiese: di Efeso" dell'Apocalisse di Giovanni sullo specchio di fronte. Tutto sommato non fa l'effetto apocalittico che aspettavo ed uscendo dall'ascensore cerco di ricordare il numero del blocco e il colore della sezione di dove avevo messo il mezzo. Giallo? Verde? Rosso? Niente, giro a vuoto come un topo in un esperimento di vivisezione. Vedo dei corpi che si muovono da lontanissimo e li saluto con la manina che fa ciao come fanno i giapponesi in vacanza quando gli ordinano di fare una foto, ma niente, nessuna reazione.
Sono io o sono gli altri?
Gli altoparlanti nascosti ora diffondono garbatamente un Easy Listening da aereo di linea con melodie semplicissime che invece di calmarmi rendono ancora più insopportabile e assurda la permanenza in questo dedalo megalitico di cemento.
Non c'è un'anima a cui chiedere un'informazione. Com'è possibile che nessuno svolga la mansione di ausiliario del parcheggio nei momenti del bisogno? Dove cazzo mi trovo e soprattutto perchè mi trovo qui?
Cerco in tasca la tessera buono sconto prepagata e non la trovo. Altro motivo di panico.
Torno a prendere l'ascensore e non capisco se sto salendo o scendendo. rido da solo come un cretino. Si aprono le porte ed esco con un espressione demente stampata in faccia. Ho paura e le dita delle mani e dei piedi sono gelate.
Una famiglia di analfabeti funzionali guarda sorridendo in modo vago senza capire il mio bisogno disperato di soccorso.
L'automobile non c'è da nessuna parte. Mi sono perso. Ma non qui. Mi sono perso dentro. Il labirinto esiste per davvero ed è dentro la mia testa. Mi chiedo se sono arrivato qui con la macchina mia o forse mi ci ha portato qualcuno.
Prendo il telefono e chiamo un numero a caso. Risponde il chirurgo che mi operò la schiena otto anni or sono. Fa finta di ricordarsi di me. Io dissimulo, gli dico che vivo all'estero, non so nemmeno perchè sto mentendo. Vesso in uno stato confusionale e mi sento calvo e grasso.
Inizio a piangere perchè dopo tutto volevo solo vincere al grattaevinci e comprare una mozzarella di bufala da mezzo chilo, ma non ho fatto nè l'uno nè l'altro. Questo dimostra che sono un fallito.
Trovo un angolo vicino ad un altoparlante che diffonde confortante un brano anonimo senza alti e bassi e mi accovaccio per terra assumendo una posizione fetale. Dal naso cola ancora quella roba che non si capisce se è sangue o moccia rosa.
Il mondo là fuori è troppo pericoloso ora, forse è meglio se torno dentro il centro commerciale. Magari mangio qualcosa, magari compro dei calzini in offerta; al multiplex danno l'ultimo film della Marvel, qualcosa di non impegnativo dove i buoni vincono e i cattivi vengono banditi in una ultradimensione, per giustificare che nessuno sia stato ucciso, anche se sono personaggi finti. Magari mi distraggo.
Nella posizione fetale in cui mi trovo ricordo di avere un cellulare. Lo prendo e vado su Facebook.
Sono per terra aggrovigliato su me stesso mentre rido ebete cambiando la mia foto di profilo.
Sono perso in un labirinto e accolgo il nulla nel mio spirito.
Il futuro è bellissimo.

Thursday, June 23, 2016

I Film italiani, ma con un certo senso di tenerezza


Assisto a un compleanno di "18 anni". Ora capisco dove si pescano le situazioni per i film italiani sui giovani per famiglie più o meno giovani.
Tenerezza soprattutto. Giovanotti in giacche e cravatte spaiate e prestate dai padri. Scarpe larghe con le stringhe sciolte. Le ragazze stanno dritte sulle sedie e vogliono sembrare più grandi di quello che sono. Quella a capo tavola con le tette più sviluppate delle altre che sta un pó gobba per vergogna.
Il secchione, che anche se ci sono trentasette gradi fuori si è messo un cardigan coi bottoni.
Il "bello della classe" che mostra sicurezza, probabilmente quella nella terza sedia a destra, anche se non è la più bella, gli ha fatto la prima seghina alla festa di compleanno di uno degli altri della "cumpa". Ora lei vorrebbe continuare la storia con lui, ma lui punta alla tettona a capotavola, quella di prima che sta un pó gobba, ma a cui piace il figlio del notaio che siede nell'ultimo angolo a sinistra. Lui sta in disparte perchè è il secchione, ma ha un fratello più grande che spaccia fumo e che ha fatto due giorni in galera, o così si dice.
C'è l'anoressica sensibile che a tre quarti del film si suiciderà con una boccetta intera di Xanax in gocce per via del fatto che non si piace e quindi è convinta che non piacerà mai a nessuno e allora si beve tutte ste cazzo di gocce, e con il sottofondo di una musica drammaticissima di qualche squallida band raccomandata italiana ci sarà questa catarsi di dramma e lacrimuccia che ci condurrà mano a mano come bravi bambini ammaestrati ad un finale nel quale impareremo che la vita va avanti comunque, e in realtà siamo tutti buoni e cattivi allo stesso tempo.
E i buoni e i cattivi non esistono, nemmeno il figlio maggiore del notaio che spacciava, che in realtà è buono anche lui perchè tutto sommato è stata la vita e l'assenza della figura paterna a portarlo a fare le scelte che ha fatto.
Si fanno delle firme, dei contratti. Poi ci sarà gente che tirerà fuori del grano sonante.
Esce il film o il libro, o forse prima il libro e poi il film visto che qualche autore lo si trova. C'è la fila di autori.
 Poi ci saranno delle presentazioni in giro da Celtrinelli perchè siamo ovviamente tutti di sinistra e la sinistra è buona e quindi va bene. Poi passerà del tempo, le generazioni cresceranno, si parlerà di questi film come un fenomeno dei tempi, come qualcosa che doveva essere fatto.
Gli attori che hanno fatto questo film saranno cresciuti, alcuni saranno scoppiati, perchènsi saranno drogati di brutto nelle serate nei club ovunque, altri magari faranno qualche film (o serie televisiva) interessante. Si organizzeranno premi. Premi dove saranno premiati anche quelli che portavano i panini a quelli che sistemavano le luci.
Poi si andrà nei locali della capitale (ovvio e dove se non nella capitale?) e incontrerai il montatore della serie televisiva che è uscita ispirandosi al film del "regista per fascia di film da famiglia ma con tema giovani del centro Italia" e gli stringerai la mano e gli farai i complimenti per il montaggio.
Ma dopo il terzo martini ti accorgerai che tutto ció non ti appartiene e vorresti solo ascoltare l'ultimo disco dei Russian Circles, che nessuno se li caga e non hanno nemmeno un cantante ma sentirli ti aiuta a dimenticare il vuoto pesante e insistente della presenza inutile di questo mondo di merda.
E allora, come disse l'immigrato ametrano di Bianco Rosso e Verdone: 
"Annat' tutt' quant a piglià n't er cul!"
E sostanzialmente in Italia è il difetto che fa la differenza, non il pregio. Ma va bene così, c'è la pastasciutta, le belle donne, gli uomini con le maniglie dell'amore e l'ATAC: Associazione Teologica Amici Cristo.



Sunday, November 15, 2015

Una buona domenica

Lui si sveglia con l'odore del caffè. La vecchia nonna deve averglielo preparato.
In cucina c'è sempre qualcuno che cucina. Di là risa di bambini.
Un fiasco di vino rosso sfuso sul tavolo, l'ha portato un cugino demente di Campobasso.
Entra, apre il frigo e prende una caciotta semistagionata, regalo della portinaja calabrese. Ne taglia una fetta e la mangia con del pane casareccio. Di grano scuro, tipo quello di Lariano. Il caffè è fatto con una moka da tre. Si chiede se è meglio questo o l'espresso del bar.
La vecchia madre vestita perennemente a lutto è lì a cucinare un sugo di carne da due giorni insieme alla nonna, la prefica. Il profumo fa svenire.
In casa vivono in dodici. Uno dei fratelli è culo. Lo sanno tutti ma non lo sa nessuno. Ancheggia per il corridoio, quello lungo con la foto incorniciata di Padre Pio, sia benedetto. Sia benedetto anche il ricchione, forse guarirà.
Si mangia finalmente, mezzo chilo di pasta a testa. Poi non si dica che la pasta è la scelta economica. A tavola anche i più piccoli tacciono, altrimenti volano schiaffoni.
È domenica. Due le cose da fare: svuotare i coglioni e svuotare la Beretta in faccia all'infame.
Lui esce, prende la Ritmo e va a fottersi una puttana in casa dove si sta comodi per quella mezz'ora. Paga, rutta e si lava le palle. Se le lava dopo.
In macchina alza la chiappa e fa una lunga scorreggia sonora. Nel sugo di mamma c'erano un sacco di cipodde.
Fa le scale e suona al campanello, il tizio lo riconosce e lo accoglie a braccia aperte. Gli spara in faccia e il sangue ha lo stesso colore di quello che ieri aveva visto in macelleria. Le fette 10 euro al chilo. Deve ricordarsi di prenderne una bella scorta per le braciole.
Nessuno lo vede, tutti si fanno i cazzi loro. Teste di cazzo.
Torna sui suoi passi e getta il ferro in un fossato. 
La prende lunga e gli viene un languorino, va in autogrill e compra I COGLIONI DEL MULO da tre chili, quello col lardo in mezzo, che regalerà alla madre la sera, terminati i giri.
Capatina al bar Sport dove I fratelli Marranzano gli daranno la busta. Si accende un toscano ma è solo adesso che si accorge che sulle mani non ha odore di polvere da sparo o ferro rugginoso della pistola, bensi quello della caciotta semistagionata.
Imbosca la busta e stringe le mani ai fratelli. Uno secco secco e strabico, l'altro obeso e forforoso.
Si fa un aperitivo a base di verdicchio gelato e patatine dal sacchetto con dentro la sorpresa. La sorpresa è una piccola spilla di plastica grigia che dovrebbe sembrare una stella da sceriffo.
Torna a casa e regala la spilletta a uno dei fratelli più piccoli. Il piccolo gli dice che da grande vuol fare lo sbirro. Siamo apposto.
Sente la mancanza del padre. Vede una foto appesa dove gli tiene la mano sulla testa e ridono.
Ora però non c'è un cazzo da ridere.
Però intanto i soldi a casa ci stanno.
La madre fa i salti di gioia per i coglioni del mulo e li appende in cucina di fianco al ferro di cavallo cosentino.
Stasera c'è la partita, si cena davanti al televisore. Ci stanno i fritti.
Lui pensa che dovrà procurarsi un altro ferro. Poco male ci sono gli albanesi giù al porto. Domani avrebbe fatto una capatina, e si sarebbe mangiato anche una bella frittura di paranza. E poi magari anche un'altra scopata.
Domani.
Oggi la pagnotta a casa l'ha portata. Staranno tutti con la pancia piena per un pò. I conti tornano.
Alza la chiappa e fa una sonora scorreggia. Vede che nonna sventola disperata un canovaccio e quindi indica mamma come capro espiatorio per l'aerofagia. Non ha tutti i torti.

Domani rotture di cazzi, nuovi compromessi, ma ora c'è la partita. Non è ancora finita la giornata e oggi è stata una buona domenica.

I coglioni del mulo, con il lardo in mezzo.


Friday, August 21, 2015

La parabola del pittore cinese e dell'imperatore.

C'era una volta un pittore cinese che lavorava al ristorante FENG di una traversa di Paolo Sarpi.
Un pomeriggio, mentre scongelava carne di topo nel cortile sul retro venne avvisato che quella sera a cena ci sarebbe stato l'imperatore di Bruzzano, il migliore spacciatore di barella, nonchè appassionato di cucina esotica.
Si fece sera, e finalmente giunse l'imperatore coi suoi mandarini a cavallo di T-Max truccatissimi. Volle ordinare il suo piatto preferito, la specialità del pittore cinese. Che poi non era un vero e proprio pittore, insomma lo era stato, ma visto che le sue opere facevano cagare si diede alla cucina, anche se i suoi amici continuavano a sfotterlo chiamandolo in modo sarcastico "Il Pittore".
 - Ah, sei un pittore? -
 - Si - 
 - Allora dipingimi sto cazzo. - E tutti a ridere.
Comunque l'Imperatore di Bruzzano ordinó il famoso POLLO DEL NAVIGLIO, che poi era carne di topo. Scongelata, fritta e in agrodolce.
Il Pollo del Naviglio era il piatto preferito dei Bruzzangeles perchè aveva un buon sapore e non costava un cazzo.
Arrivarono le pietanze e gli ospiti mangiarono avidamente.
Si fecero un tiro di bbamba a tavola, tanto chi guardava si pigliava gli schiaffi. Come da copione di digestivo ordinarono tutti un Limoncè doppio, pagarono e se ne andarono a fare mafieggio all'ATM che ora faceva davvero brutto, tra gente di fuori, tardone disperate, e camerieri che urlano.
La notte l'Imperatore e i tamarri morirono tutti dopo aver sofferto di orrendi dolori e spasmi al colon.
Adesso Il Pittore cinese è in galera e ha cambiato sesso.
La morale fatevela un pó voi, testine.

Ps: Ah, ma tu sei un lettore?
Si?
Allora leggimi sto cazzo.


Tuesday, March 3, 2015

Il Nebbientho

Il Londonivm è la sostanza che introdotta nel Baluciterivm crea il Nebbientho.
Il Nebbientho non è una vera e propria costruzione chimica, è il risultato di studi scientifici applicati alla magia nera.
La nostra società è retta da tecnopati che controllano e garantiscono il costante flusso di Nebbientho per la popolazione.
I tecnopati inseriscono il Londonivm negli enormi Baluciterii dove si crea il Nebbiento.
L'occupazione fondamentale della gente è quindi cercare e raccogliere il Londonivm dove ci sono maggiori concentrazioni dello stesso, di notte, nei luoghi più remoti della città. Le zone più ricche di questa essenza sono presso i cimiteri e le periferie.
Il Baluciterivm è un immane costruzione biomeccanica a cupola nera che sovrasta le città dal centro, di modo che non esistano più centri delle città. Prende nome dall'enorme mammifero che visse nell'Asia Centrale tra i trena e i venti milioni di anni fa, comparso nell'Oligocene e scomparso nel Miocene. Il Baluciterivm sia meccanica che organica, frutto dell'ingegneria avanzatissima della nostra epoca.
Grazie al Nebbientho la popolazione vive priva di problemi e al sicuro di ogni turbamento. Grazie al Nebbientho la gente pensa meno. E ciò è bene per i Tecnopati, che meticolosamente distillano la sostanza e la distribuiscono durante il giorno, oscurando il cielo e proteggendoci dalla luce.


Dal verbo di Vögel: "Non di solo pane vive l'uomo, ma del Nebbientho dei grandi tecnopati."
Il tecnopate Zauss mostra con orgoglio un primitivo modello di Baluciterivm, l'Arkanoid V.1.2

Wednesday, February 25, 2015

Racconto molto simbambè

Oggi, una brava persona che tuttavia conosco solo di vista, si è messa a farmi un panegirico ispiratissimo sul pericolo di venire traviati dal Diavolo.
In seguito a un'ansia immonda che ho tarpato con due fette di carne e del riso integrale, ho pensato bene di scrivere un breve raccontino.
Lo pubblico qui sul blog visto che è un bel pó che non lo aggiorno di contenuti.

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I cugini Biku e Baku se ne andavano simpaticamente a spasso in cerca di scorie radioattive per avvelenare i propri amici quando incontrarono Murmur mentre si manifestava a un crocicchio. - Ciao Murmur, che si dice, - fece Biku, mentre l'altro rispose, - Ciao amici, sono apparso per farvi un regalo. Vedete laggiù? Dietro quell'angolo cecoslovacco una madre passeggia coi propri neonati nella carrozzina. Fatele una bella sorpresa. - E scomparve in una nuvola di zolfo.
Biku e Baku estrassero rispettivamente un ascia e una drusa e rapirono i bambini restituendoli mutilati alla madre, che in segno di riconoscenza si infiló due lunghi spilloni nelle tempie.
 - Vabè non avremo trovato le scorie, ma in compenso ci siamo divertiti un mondo, vero Baku? -
 - Puoi ben dirlo, fratellino. Piuttosto, che si mangia stasera? -
 - Feci e sangue caro mio, feci e sangue. -

Sunday, September 14, 2014

L'importanza di essere Sagas

Aveva deciso di farla finita una volta per tutte, ma un suicidio in sordina non avrebbe fatto al caso suo.
Tanta era l'amarezza per una vita di grandi aspettative andate in fumo sempre per un soffio, che la rabbia aveva preso il sopravvento.
Il vedersi immancabilmente superare giorno dopo giorno da mediocri che si accontentavano dell'uovo oggi invece della gallina domani lo aveva convinto che questa vita ormai non aveva più un senso.
La morte sarebbe stata una liberazione.
Ma insieme a lui sarebbero dovuti morire in molti, soprattutto innocenti a casaccio, per far si che la notizia fosse tanto clamorosa da lasciare il segno per sempre.
Prese un treno diretto a Napoli.
Si portò uno zainetto con un chilo di simil C4 fatto con le istruzioni prese da internet.
Tanto sui treni non c'è il controllo di sicurezza che c'è sugli aerei. Che coglioni, una strage su un treno è ben peggiore di una in aria.
Salì sulla carrozza e aspettò che il treno ripartì dalla Stazione Termini. Era pieno di nullità con le loro croci sulle spalle, ma a lui cosa gliene poteva fregare? Già si fregava le manine.
Mise la bomba nel cesso e settò il timer. Andò a sedersi comodo e con una specie di sorriso di sollievo stampato in faccia attese.
Basta con le sconfitte. Basta coi progetti in fumo e le sue idee fregate da quelli più svelti o con più soldi di lui. Basta coi bambini dei terroni che piangono nei treni. Basta coi ristoratori furbetti e con i barman coi baffi. Basta con le Littizzetto che starnutiscono e sperano di avere un raffreddore per non presentarsi in ufficio. Basta coi froci della moda e le fashion blogger che guadagnano a fare cosa? Basta con i cretinetti, i figli di papà con la casa a Miami, le troiette che nelle foto fanno la bocca a culo di gallina e fanno V con la manina, copiando i negri del rap, che ora è di moda. Infilateveli nel culo quelle manine che fanno la V.
Basta con tutto!
Che poi anche gli asiatici ad ogni foto fanno V con la manina. Lui gliela voleva mozzare quella manina che faceva la V
Erano quasi le 17 e ventisei quando la bomba scoppiò.
Morirono in 400 persone.
Lui sopravvisse illeso. Nemmeno un graffio. Tipo quel film lentissimo con Bruce Willis dove non si capiva se era o no un supereroe.
Lo arrestarono, ma il processo divenne un fenomeno mediatico e durò all'infinito. Non si capiva se era matto o ci faceva.
Finì ospite a Porta a Porta e scrisse un libro che divenne bestseller e da cui fecero un merdoso film italiano con Muccino che recitava doppiato da Jovanotti (tanto più o meno è la stessa cosa).
Divenne ricchissimo e si disgustò di se stesso fino a quando non entrò in politica.
Per la gente era una specie di vittima stigmatizzata del sistema.
Si infilò nel culo una panetta da un chilo di simil C4 rifatto con le istruzioni prese da internet e si presentò a timbrare il cartellino a Montecitorio e lo fece saltare per aria una volta assicuratosi che fosse al completo.
Sta volta morì anche lui, ma andò all'aldilà e divenne santo subito.
Per meccanismi che noi non possiamo sapere Lui resuscitò e tornò in terra, e siccome dall'alto dei cieli aveva imparato i numeri giusti, andò dal tabaccaio che San Pietro gli aveva consigliato e comprò un grattaevinci Megamiliardario da 10 euro.
Vinse due milioni di euro senza fare una piega davanti a svariati sudamericani e filippini che grattavano inutilmente i loro Portafortuna da un euro o i Turista per Sempre da 5.
Coi soldi comprò 200.000 Megamiliardario in giro per l'Italia e vinse successivamente l'importo di altri dieci milioni di euro.
Divenne immortale e tutti lo venerarono come il dio della fortuna. Per adorarlo meglio la prassi era inchinarsi urlando LODEM! LODEM! LODEM! Tre volte e con un dito nell'orecchio e l'altro nel naso.
Aveva un iPhone a energia solare collegato a dei satelliti che grazie ad un'applicazione fatta su misura per lui ricercava e disintegrava la gente con la barba e coi pantaloni col risvoltino sopra la caviglia.
Non faceva l'elemosina ed era un bastardo e ci godeva come un matto a vedere gli altri star male e diventare sempre più poveri.
Primeggiava tra i sottoposti perchè era anche il più bravo a fare tutto.
Era anche il tronista più importante.

Sagas.